Parole di Carta: Pet Therapy e Riabilitazione

Se c’è un problema, c’è la sua soluzione – Rubrica a cura di Antonella Carta – Insegnante/Scrittrice – Questa rubrica si propone di passare in rassegna alcune delle piccole-grandi difficoltà del quotidiano di persone con disabilità e, anche con la collaborazione di chi ci è già passato, proporre una strada, senza la pretesa che sia la soluzione

Il valore della Pet therapy

Ancora troppo spesso accade di constatare come una persona con particolari difficoltà o con disabilità sia emarginata dal gruppo dei pari o dalla società in generale.
Indifferenza, paura, diffidenza? Poco importa quale sia la causa; fosse anche solo incapacità di comprendere come relazionarsi con chi a primo impatto può apparire “diverso”, il risultato non cambia.

Talvolta i genitori tentano di proporsi come mediatori nella relazione tra il figlio con disabilità e i compagni, altre volte sono gli insegnanti che provano a veicolare il concetto di inclusione.

Nella sostanza, è sporadico che si raggiunga l’obiettivo e, quando capita, in genere si riduce a un singolo episodio.
La solitudine attiene però, purtroppo, anche ad altre “categorie”, come ad esempio gli anziani, spesso lasciati in qualche struttura ad aspettare l’uscita dal mondo, o ancora le persone in ospedale.

Basterebbe davvero poco per migliorare la qualità della vita di chi è più fragile ma è vero anche che la vita frenetica a cui ci siamo condannati lascia poco tempo per fermarsi, pensare, talvolta persino sorridere all’altro.

IL CONSIGLIO

Una via percorribile in questo senso è la Pet therapy, ossia il ricorso alla relazione con un animale, guidata dall’operatore, per superare alcuni degli ostacoli fisici e mentali sia della persona con disabilità che della società.

Giuseppe Fortunato, operatore specializzato, ci parla della propria decennale esperienza: “Il cane, o l’animale in genere, può essere considerato un facilitatore sociale. Infatti i cosiddetti normodotati, che spesso si tengono a distanza dal disabile, nel momento in cui questi si accompagna con un cane sono spinti ad avvicinarsi anche solo per fare una carezza. Anche la persona con disabilità si rilassa e si dispone meglio allo scambio di battute, proprio perché finiscono sul vertere sull’argomento “animale” e non sul tema “disabilità”, quindi si abitua a comunicare non dovendo passare prima dalla propria disabilità.

Questo accade anche quando si fa terapia con i cani nelle strutture di accoglienza per anziani o negli ospedali. Il cane fa sì che entrambe le parti abbattano la diffidenza reciproca e si velocizzi il passaggio verso la comunicazione.

Inoltre il cane è “neutro”, ossia dai suoi occhi non traspare mai alcun giudizio e quindi le persone che in genere si sentono discriminate, quando sono con il cane sono felici di avere una relazione con un essere vivente che non li guarda mai in modo diverso da come guarda gli altri.

Oltre a migliorare la qualità delle relazioni, la Pet therapy è anche utilizzata come vera e propria terapia riabilitativa. Può spiegarci in che senso?

Posso riportare un esempio concreto che mi pare chiarificatore: una volta mi hanno affidato un bambino che si rifiutava di usare le posate e stava sviluppando una pericolosa repulsione verso il cibo. Abbiamo cominciato ad insegnargli a dar da mangiare al cane con le posate di plastica, proponendolo come gioco. In tal modo siamo riusciti a sbloccare la sua inibizione e, condizionandola come un gioco, lo abbiamo avviato a un uso graduale delle posate anche per sé.

Fondamentale il contatto con l’animale anche per i bambini che si rifiutano di essere toccati. In questi casi l’animale veicola pian piano il contatto fisico con un altro essere vivente e, nel tempo, il bambino quasi sempre finisce col lasciarsi avvicinare anche da altri esseri umani.

Come accennavo, la Pet therapy è un valido strumento anche nei casi di demenza senile, nel Parkinson e nelle RSA, infatti regala agli anziani un imput emotivo che li aiuta ad uscire dall’isolamento. Questo però è un lavoro più intuitivo, fondato più sulla micro motricità delle mani, sulle carezze. Con soddisfazione notiamo come il cane alla fine li aiuti anche a relazionarsi positivamente tra loro.”

Dell’esperienza negli ospedali cosa può dirci?

Nella chemioterapia o in altri ricoveri invasivi o nelle riabilitazioni dolorose, per i pazienti avere accanto il cane modifica significativamente in meglio il momento. Anche se sa che starà male, il paziente con il cane entra con più fiducia, quasi che la sofferenza diventasse secondaria, e affronta meglio ciò che sta per subire. Il cane davvero in questi casi stravolge tutto.”

C’è chi sostiene che la Pet Therapy funziona meglio se associata ad altri tipi di terapie riabilitative. Lei è d’accordo con questa affermazione?

Assolutamente sì. Associata ad altri tipi di terapie, come ad esempio la fisioterapia, favorisce l’ottimizzazione dei risultati ottenuti. Quindi lo spirito giusto è quello di una sana collaborazione per favorire il benessere psicofisico del paziente.”

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