Cosa rivela il cranio di un Neanderthal con disabilità vissuto fino a sei anni

Rafforza le teorie secondo cui i Neanderthal erano una specie capace di altruismo, compassione e accudimento disinteressato, contrariamente a quanto si credeva un tempo

I Neanderthal vissero tra 600.000 e 40.000 anni fa, anche se queste stime sono ancora oggetto di discussione. Essi furono l’ultima specie conosciuta del genere Homo a convivere con la nostra specie, Homo Sapiens, per un periodo di diverse migliaia di anni. Tra le specie estinte di ominini, i Neanderthal sono sicuramente i più conosciuti e studiati, specialmente dopo che i primi fossili furono scoperti nel 1856 in una cava nella valle di Neander, in Germania.

Il 26 giugno, la rivista Science Advances ha pubblicato uno studio dettagliato su un fossile di Neanderthal, condotto da un team di ricerca guidato dalla paleoantropologa spagnola Mercedes Conde-Valverde, docente presso l’Università di Alcalá, in Spagna. Lo studio si è focalizzato su un fossile composto da parti del cranio di un individuo di circa sei anni. L’analisi ha rivelato la presenza di una patologia congenita all’orecchio interno, spesso associata alla sindrome di Down e potenzialmente così debilitante da richiedere cure e attenzioni continue da parte di più adulti. Secondo gli autori della ricerca, il fatto che questo individuo sia sopravvissuto fino all’età di sei anni suggerisce che i Neanderthal avessero sviluppato “comportamenti prosociali altamente adattivi” e una collaborazione di gruppo stabile e disinteressata.

Neanderthal
Una famiglia di Neanderthal in un dipinto del 1920 del paleoartista statunitense Charles Robert Knight (American Museum of Natural History/Wikimedia)

Per lungo tempo, i Neanderthal sono stati immaginati e descritti come esseri rozzi e non civilizzati. Tuttavia, studi recenti hanno dimostrato che condividevano molte caratteristiche con i Sapiens. Alcune di queste caratteristiche sono ancora dibattute, come la capacità di costruire strumenti musicali e di dipingere, ma molte altre sono ormai accettate, come la pratica della sepoltura dei morti, l’uso di strumenti in pietra, l’abbigliamento e l’uso del fuoco per cucinare, riscaldarsi e difendersi dai predatori. Negli ultimi decenni, diversi studi hanno contribuito a rivedere le precedenti valutazioni sul divario socioculturale tra Neanderthal e Sapiens, suggerendo che i Neanderthal fossero soliti collaborare tra loro e prendersi cura l’uno dell’altro.

L’idea che i Neanderthal fossero anche capaci di provare compassione è oggetto di dibattito da tempo. Alcuni studiosi sostengono che la loro collaborazione avvenisse principalmente tra individui in grado di ricambiare il favore, o comunque con fini utilitaristici e con l’aspettativa di un beneficio reciproco, più che per pura benevolenza. Tuttavia, lo studio pubblicato su Science Advances, secondo il gruppo di ricerca guidato da Conde-Valverde, fornisce ulteriori prove a sostegno dell’esistenza di un sentimento di altruismo disinteressato tra i Neanderthal, che si estendeva oltre la cerchia dei familiari più stretti dell’individuo con la disabilità congenita.Il fossile analizzato nel recente studio è di particolare importanza perché offre una finestra unica sulla vita dei Neanderthal e sulle loro dinamiche sociali.

La scoperta di una patologia congenita così grave in un individuo che ha comunque vissuto fino all’età di sei anni implica che ci fosse un sistema di supporto ben organizzato all’interno della comunità neanderthaliana. Questo livello di cura e attenzione suggerisce che i Neanderthal possedessero un senso di responsabilità verso i membri più deboli e vulnerabili del loro gruppo, indicando un livello di empatia e solidarietà sociale che va oltre la semplice sopravvivenza.

Questi comportamenti prosociali, che includono l’assistenza ai malati e ai deboli, dimostrano una complessità sociale e un’organizzazione comunitaria che non sono tipicamente attribuiti a specie considerate meno evolute. La capacità di collaborare e sostenersi a vicenda avrebbe offerto ai Neanderthal un vantaggio evolutivo, permettendo loro di affrontare le sfide ambientali e climatiche dell’epoca in modo più efficace.La collaborazione tra i membri di un gruppo è una caratteristica fondamentale per il successo di una specie, e le prove di tali comportamenti tra i Neanderthal suggeriscono che essi non erano solo cacciatori e raccoglitori, ma anche individui con forti legami sociali e una predisposizione alla cura reciproca.

Questo contrasta con la visione tradizionale di Neanderthal come esseri brutali e poco sofisticati, rivelando una specie che possedeva una complessità emotiva e relazionale simile a quella dei Sapiens.In conclusione, gli studi recenti, inclusi quelli pubblicati su riviste come Science Advances, stanno ridefinendo la nostra comprensione dei Neanderthal. Questi ominini non erano semplicemente sopravvissuti in un ambiente ostile, ma avevano sviluppato comportamenti sociali avanzati che includevano la cura dei membri più deboli della loro comunità.

La scoperta di un individuo con una disabilità congenita che è vissuto fino a sei anni fornisce una testimonianza tangibile della loro capacità di empatia e collaborazione. Queste nuove conoscenze ci invitano a riconsiderare i Neanderthal non come semplici predecessori dei Sapiens, ma come una specie dotata di una propria dignità e complessità, capace di sentimenti altruistici e di una sofisticata organizzazione sociale.

La ricostruzione di un individuo adulto esposta nel museo dei Neanderthal a Mettmann, in Germania (AP Photo/Martin Meissner)

Il fossile descritto nello studio pubblicato su Science Advances, identificato con la sigla CN-46700, consiste in un frammento di osso temporale destro, parte inferiore laterale del cranio. Questo reperto fa parte di una collezione di resti rinvenuti nel 1989 nel sito archeologico della caverna di Cova Negra, nella provincia di Valencia, in Spagna, un’area abitata dai Neanderthal tra 273.000 e 146.000 anni fa. Per ricostruire un modello tridimensionale dell’osso, il team di ricerca ha utilizzato microtomografie computerizzate ai raggi X, una tecnica simile alla TAC che permette di ottenere sezioni trasversali di un oggetto fisico senza distruggerlo.

L’analisi ha rivelato che l’osso apparteneva a un individuo di circa sei anni, soprannominato “Tina” dai ricercatori, sebbene il genere di Tina non sia determinabile. L’osso temporale è cruciale poiché contiene e protegge la coclea e altri organi responsabili dell’udito e dell’equilibrio. Diverse anomalie morfologiche riscontrate nel fossile suggeriscono che Tina soffrisse di vari deficit invalidanti, tra cui deficit cognitivi, ridotta capacità di suzione, mancanza di coordinazione motoria e problemi di equilibrio, in attesa di conferma tramite un futuro esame del DNA che potrebbe rilevare un’anomalia cromosomica.

Visto lo stile di vita impegnativo e l’elevata mobilità dei Neanderthal, i ricercatori ritengono improbabile che la madre di Tina potesse occuparsi da sola delle necessità della figlia, continuando nel contempo a svolgere le normali attività quotidiane tipiche dei gruppi di cacciatori-raccoglitori. È più probabile che Tina abbia ricevuto aiuto continuo da altri membri del gruppo sociale. «È la spiegazione più semplice per il fatto sorprendente che un individuo con sindrome di Down sia sopravvissuto per almeno sei anni in epoca preistorica», ha affermato Conde-Valverde al Washington Post.

Studi precedenti avevano già suggerito che i Neanderthal si prendessero cura dei membri fragili del gruppo. Una ricerca del 2018 condotta da archeologi e antropologi della University of York, nel Regno Unito, e della Australian National University, a Canberra, analizzò diversi fossili di individui con lesioni traumatiche guarite, concludendo che le cure mediche e l’assistenza sanitaria tra i Neanderthal fossero pratiche abituali, non dissimili da quelle di contesti sociali successivi, e motivate dall’investimento nel benessere del gruppo.

Un esempio celebre di assistenza tra Neanderthal è il fossile denominato Shanidar 1, scoperto negli anni Cinquanta nella grotta di Shanidar, nel Kurdistan iracheno. Questo fossile apparteneva a un individuo con deformazioni agli arti e gravi lesioni al cranio guarite, che probabilmente provocavano problemi di vista e udito. L’individuo sopravvisse fino a circa 40 anni, un’età spiegabile solo ammettendo che ricevette cure e assistenza consapevoli da parte del gruppo.L’archeologa spagnola Sofia C. Samper Carro, docente all’Australian National University ed esperta di comportamento dei Neanderthal, ha dichiarato al Washington Post che il legame tra lesioni o patologie e relazioni di assistenza è difficile da dimostrare negli studi sui fossili.

Tuttavia, ha aggiunto che lo studio su Science Advances fornisce prove sufficienti per dimostrare un chiaro legame tra una disabilità infantile e l’impegno nelle cure da parte di adulti. Anche se non saremo probabilmente mai in grado di dimostrare inequivocabilmente che i Neanderthal possedessero questa capacità, «studi come questo sono certamente un passo avanti nella giusta direzione per demistificare la nostra unicità e il presunto comportamento meno “umano” dei Neanderthal», ha concluso Samper Carro.

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